Migranti – Papa Francesco a Lesbo

Il programma cristiano è un cuore che vede 

Papa Francesco per la seconda volta è andato a Lesbo, la piccola isola dell’Egeo settentrionale di fronte all’Anatolia (Turchia) da cui è separata da uno stretto braccio di mare, che ospita uno dei campi profughi più grandi di Europa. Qualcuno può pensare che papa Francesco abbia la mania di perdere tempo e parole per i rifugiati e le persone migranti, mentre affari più importanti lo attenderebbero. Invece, a me ha ricordato quel passo del Vangelo (Mt 18,12-24) dove si dice che un uomo, pastore di pecore, abbandona un intero gregge per andare alla ricerca di una sola che si era perduta. Una parabola decisamente fuori dalla nostra realtà, ma pienamente in linea con il modo di comportarsi di Gesù che rischia tutto se stesso pur di riabbracciare chi si è smarrito per colpe proprie o altrui.  Papa Francesco ha voluto riabbracciare i migranti dimenticati da noi cittadini d’Europa e al tempo stesso vorrebbe abbracciare quanti di noi, cristiani cattolici, ancora oggi pensano che la sua sia un’ideologia religiosa.

Invece le sue “sono radici cristiane concrete. Gesù afferma solennemente di essere lì, nel forestiero, nel rifugiato, in chi è nudo e affamato (cfr. Mt 25).

Papa Francesco insieme a Ieronimos, arcivescovo ortodosso di Atene e a Bartolomeo, patriarca ecumenico di Costantinopoli, era venuto in visita la prima volta il 16 aprile 2016. Quest’oggi, 5 dicembre 2021, il papa nell’andare incontro ai bambini, alle donne, agli uomini, sono afghani, siriani, iracheni, africani che sono in attesa di avere una vita, così li saluta: “ «Sono qui per vedere i vostri volti, sono qui per guardarvi negli occhi. Occhi carichi di paura e di attesa, occhi che hanno visto violenza e povertà, occhi solcati da troppe lacrime». Cita poi le parole del Patriarca Ecumenico Bartolomeo che cinque anni fa su quest’isola, disse una cosa che lo colpì: «Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi. Chi ha paura di voi non ha visto i vostri volti. Chi ha paura di voi non vede i vostri figli. Dimentica che la dignità e la libertà trascendono paura e divisione. Dimentica che la migrazione non è un problema del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, dell’Europa e della Grecia. È un problema del mondo» (Discorso, 16 aprile 2016).

«Sì – ha commentato Francesco – è un problema del mondo, una crisi umanitaria che riguarda tutti». Ma mentre con la pandemia si è capito che le questioni vanno affrontate a livello comunitario, mentre si stanno faticosamente portando avanti le vaccinazioni a livello planetario e qualcosa – ha detto il Papa – pur tra molti ritardi e incertezze, sembra muoversi, nella lotta ai cambiamenti climatici, invece tutto «sembra latitare terribilmente per quanto riguarda le migrazioni». Eppure – ha continuato – ci sono in gioco persone, vite umane! C’è in gioco il futuro di tutti, che sarà sereno solo se sarà integrato»…« È triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri».

È un’illusione pensare che basti salvaguardare se stessi, difendendosi dai più deboli che bussano alla porta. Il futuro ci metterà ancora più a contatto gli uni con gli altri. Per volgerlo al bene non servono azioni unilaterali, ma politiche di ampio respiro. La storia, ripeto, lo insegna, ma non lo abbiamo ancora imparato. Non si voltino le spalle alla realtà, finisca il continuo rimbalzo di responsabilità, non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria, come se a nessuno importasse e fosse solo un inutile peso che qualcuno è costretto a sobbarcarsi!

Citando Elie Wiesel (ebreo rumeno, sopravvissuto alla shoah, premio Nobel per la pace) ha poi affermato: «Quando le vite umane sono in pericolo, quando la dignità umana è in pericolo, i confini nazionali diventano irrilevanti». E con la lucidità che molti non vogliono avere ha proseguito: «Perché solo se riconciliato con i più deboli l’avvenire sarà prospero. Perché quando i poveri vengono respinti si respinge la pace. Chiusure e nazionalismi – la storia lo insegna – portano a conseguenze disastrose… In diverse società si stanno opponendo in modo ideologico sicurezza e solidarietà, locale e universale, tradizione e apertura. È facile trascinare l’opinione pubblica istillando la paura dell’altro; perché invece, con lo stesso piglio, non si parla dello sfruttamento dei poveri, delle guerre dimenticate e spesso lautamente finanziate, degli accordi economici fatti sulla pelle della gente, delle manovre occulte per trafficare armi e farne proliferare il commercio? Vanno affrontate le cause remote, non le povere persone che ne pagano le conseguenze, venendo pure usate per propaganda politica! Per rimuovere le cause profonde, non si possono solo tamponare le emergenze. Occorrono azioni concertate. Occorre approcciare i cambiamenti epocali con grandezza di visione. Perché non ci sono risposte facili a problemi complessi».

«Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti – ha detto papa Francesco – sta diventando un freddo cimitero senza lapidi».

Il Mediterraneo la «culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte». «Non lasciamo che il mare nostrum si tramuti in un desolante mare mortuum, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo “mare dei ricordi” si trasformi nel “mare della dimenticanza”.

Vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà!».

Papa Francesco ha ricordato come proprio sulle rive di questo mare Dio si è fatto uomo, si è inculturata la fede non una ideologia religiosa. Con molta chiarezza ha perciò spiegato come invece «si offende Dio, disprezzando l’uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balia delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani». E da Papa, come Papa, ha insegnato quali sono le vere radici cristiane: «La fede chiede compassione e misericordia. Esorta all’ospitalità, a quella filoxenia che ha permeato la cultura classica, trovando poi in Gesù la propria manifestazione definitiva, specialmente nella parabola del Buon Samaritano (cfr Lc 10,29-37) e nelle parole del capitolo 25 del Vangelo di Matteo…Il programma cristiano è trovarsi dove sta Gesù. Perché il programma cristiano, ha scritto papa Benedetto, “è un cuore che vede (Lett. enc. Deus caritas est, 31)». Vedere la realtà prima delle idee e delle ideologie. Quella che nel campo profughi di Lesbo tutti hanno potuto vedere.

Nel discorso sono inserite due preghiera, che di seguito riportiamo.

In questa domenica, prego Dio di ridestarci dalla dimenticanza per chi soffre, di scuoterci dall’individualismo che esclude, di svegliare i cuori sordi ai bisogni del prossimo. E prego anche l’uomo, ogni uomo: superiamo la paralisi della paura, l’indifferenza che uccide, il cinico disinteresse che con guanti di velluto condanna a morte chi sta ai margini! Contrastiamo alla radice il pensiero dominante, quello che ruota attorno al proprio io, ai propri egoismi personali e nazionali, che diventano misura e criterio di ogni cosa.

Ora preghiamo la Madonna, perché ci apra gli occhi alle sofferenze dei fratelli. Ella si mise in fretta in viaggio verso la cugina Elisabetta che era incinta. Quante madri incinte hanno trovato in fretta e in viaggio la morte mentre portavano in grembo la vita! La Madre di Dio ci aiuti ad avere uno sguardo materno, che vede negli uomini dei figli di Dio, delle sorelle e dei fratelli da accogliere, proteggere, promuovere e integrare. E amare teneramente. La Tuttasanta ci insegni a mettere la realtà dell’uomo prima delle idee e delle ideologie, e a muovere passi svelti incontro a chi soffre. 

 

fr. Guido Ravaglia