L’appartenenza ad una Chiesa Universale

Vi racconto come e perché sono partito in missione…

La mia è stata una scelta preparata da alcuni eventi. Primo fra tutti, l’essere stato animatore del gruppo missionario nella parrocchia della Creta a Milano dal 2005 al 2008; lì ho cominciato ad avvicinarmi al mondo delle missioni, tanto che nell’estate del 2007 sono andato nella città marocchina di Meknes, dove viveva un frate che conoscevo. 

Il mio intento era di mettermi nei panni di uno straniero musulmano che, giungendo in Italia “da noi”, non ha punti di riferimento e si trova spaesato. È questa la sensazione che ho voluto provare andando io “da loro”: essere uno straniero cristiano che ovunque si girasse non vedeva campanili suonare a distesa, ma ascoltava i muezzin che dai minareti delle moschee invitavano cinque volte al giorno i musulmani alla preghiera. 

Mettersi nei panni dell’altro aiuta a capire meglio quello che prova e ad entrare in una relazione più rispettosa nei suoi confronti. 

Inoltre, nella nostra regola di vita c’è un capitolo dedicato interamente a coloro che vogliono vivere in mezzo ai “saraceni” e nelle biografie di san Francesco si narra come egli abbia cercato di recarsi in Marocco senza riuscirci. Ci riuscirono però i protomartiri francescani tra il 1219 e il 1220 ed è da allora che i frati sono presenti in Marocco. 

Chiedere al Signore cosa fare della propria vita per servire lui e i fratelli è la ragione che mi ha portato in missione. Da nove anni vivo in Marocco in una Chiesa minoritaria. 

È questa la seconda ragione che mi ha spinto a vivere in terra musulmana: essere, cioè, un frate minore nella sua identità più profonda. Provavo il desiderio di essere fratello anche di chi è diverso da me dal punto di vista della fede e il desiderio di essere minore, volendo vivere questa relazione non dominando l’altro ma servendolo secondo il Vangelo, mostrando così la gratuità dell’amore di Dio. 

L’accoglienza che incontro nelle persone che abitano nel quartiere dove vivo mi aiuta a voler conoscere meglio la cultura, le tradizioni, la religione e la società di questo popolo che mi ospita in casa sua. 

In Marocco ho imparato a respirare l’appartenenza ad una Chiesa universale: frati, suore, preti e fedeli laici provenienti da più di cento paesi mostrano il volto di una Chiesa che esce dai propri confini per nutrirsi di Cristo e portare il suo annuncio in questa terra di missione. 

È un piccolo gregge insignificante ma che resta significativo perché testimonia la sua appartenenza a Gesù buon pastore e alla sua Chiesa che si dirige non solo verso i propri fedeli ma si apre all’incontro con i fedeli dell’Islam per un ascolto e un dialogo sinceri e profondi. 

La chiave di tutto per me resta il volto dell’altro in cui posso scorgere il volto del Signore. Se guardo l’altro con amore il Cristo si manifesta tra noi ed una relazione di amicizia e di rispetto può nascere più facilmente. 

Sono queste le ragioni principali che mi fanno rendere grazie al Signore della sua chiamata tra i marocchini, per essere non solo “da loro” ma con loro ed in mezzo a loro. 

                                                                                                                      Fraternamente, fra Natale 

 

*Nella foto fra Natale nel Centro S. Antonio a Meknes