P. Guido Ravaglia intervista il nostro missionario, p. Gianni Gattei
Gianni tre anni fa, in occasione della tua ultima vacanza in Italia, eri nell’imminenza di trasferirti da Aitape, sede storica della nostra presenza in Papua Nuova Guinea, in West New Britain.Dopo quasi 30, anni trascorsi nell’impegno pastorale dei villaggi dell’interno (del bush), poi quale direttore-economo del Centro Disabili – ex Lebbrosi ad Aitape, al quale hai aggiunto il servizio di Custode OFM e di Vicario della Diocesi, in occasione della “lunga sede vacante”, avevi avvertito il bisogno di fare uno stacco e chiesto di recarti in un luogo più tranquillo.
- Come sono andati questi tre anni?
 
Questi ultimi tre anni sono stati molto densi. Il nostro Convento con annesso il Centro Ritiri si trova in una bella posizione, dentro il villaggio di Banaule, ma abbastanza isolato dal rumore del villaggio, essendoci piantagioni di olio da palma su entrambi i lati, davanti a noi la chiesa e dietro, oltre una striscia a foresta, compare subito il mare. C’è voluto un po’ per creare la nuova comunità, infatti un frate è arrivato nel marzo del 2023, un altro più avanti nello stesso anno, dopo aver celebrato la sua Professione Solenne. All’inizio abbiamo speso molto tempo per mettere a posto il convento, infestato da formiche bianche e topi e l’acqua piovana che allagava dentro, fuori e sotto casa. Abbiamo rimesso in ordine tutte le stanze e rinforzato il sistema a luce solare, con il cambio di alcuni pannelli e sostituendo delle batterie. Anche il generatore non andava più, ne abbiamo comprato un altro più piccolo, per pompare l’acqua al Centro Ritiri. Gli ambienti dismessi e in disordine, la mancanza dell’acqua rendevano impossibile l’accoglienza dei gruppi di persone. Per risolvere la situazione i miei confratelli ed io abbiamo lavorato parecchio e rimesso a lucido il Centro.
- Che realtà hai incontrato? A livello sociale, di chiesa?
 
Mentre ero impegnato nei lavori cercavo di conoscere meglio la gente attorno a noi e il Vescovo, John Bosco, che era ed è felicissimo di averci nella sua Diocesi. Mi ha chiesto di aiutare la parrocchia di Mai, di cui il parroco è un fratello della congregazione del Sacro Cuore. Insieme ad un altro sacerdote e due confratelli vivono a 10 minuti di macchina da noi. Mi è stata assegnata una zona pastorale, prima con 5 e poi dall’anno scorso con 6 parrocchie succursali. Vado mensilmente a celebrare la messa domenicale (due messe ogni domenica) e i sacramenti, oltre ad altre festività infrasettimanali.
Certo che ho dovuto un po’ privilegiare il servizio alla nostra Fondazione, in particolare la proposta di ritiri che mancavano da molti anni e che sia il nostro Presidente della Fondazione, sia il vescovo, desideravano riprendesse vigore. Il Vescovo ci aveva chiesto di ampliare un po’ gli spazi del Centro per accogliere gruppi un po’ più numerosi, con l’intenzione di mandare gruppi Diocesani per incontri e ritiri. Da subito abbiamo fatto dei lavori importanti, con l’assistenza di “Franciscan Mission” della Germania e della nuova Provincia Frati Minori del Nord Italia. Abbiamo costruito una sala incontri (ancora non terminata ma già agibile), una nuova mensa per gruppi con annessa la cucina. Poi abbiamo ristrutturato altri spazi, come la ex sala incontri trasformandola in dormitori e camere singole.
Nel frattempo il programma dei Ritiri andava avanti, e con l’inizio del 2022, abbiamo tenuto molti ritiri, per religiosi, sacerdoti singoli e gruppi di sacerdoti fino a 30, poi giovani, maestri, catechisti e altri gruppi. Di solito sono io a predicare i ritiri, qualche volta è venuto un predicatore da fuori. Gli altri frati della comunità organizzano l’OFS per cucinare e provvedono al cibo.
- Come vedi la vita fraterna di voi frati, quali impegni di missione avete privilegiato?
 
Come comunità abbiamo un piano di vita che include messa quotidiana, preghiera, visita ai malati e disabili, assistenza materiale ai disabili, e ogni due mesi celebriamo la messa insieme alla gente in ogni villaggio che ci è stato assegnato. Organizziamo anche giornate per le vocazioni, e tantissimi giovani vengono, anche bimbi delle elementari.
I frati della comunità, Ignas e John, sono dei gran lavoratori. Fra Ignas è carpentiere, elettricista, idraulico e meccanico, oltre che aiutare in una piccola comunità ogni domenica con un servizio liturgico della parola e dell’eucarestia, non essendoci sempre il sacerdote. Segue anche l’OFS. Fra John è un meccanico, aiuta in altri lavori e sta imparando molto, suona chitarra e tastiera ed è l’addetto zonale per le vocazioni. I ritiri a volte li tengo in altre zone della Diocesi, specialmente del nostro Vicariato, per permettere a più gente di partecipare. Le nostre parrocchie sono composte da fedeli provenienti da diverse regioni della Papua, perché lavorano da più di 40 anni nelle piantagioni di palma e si sono ormai stabiliti qua. Quindi non è semplice la realtà sociale, essendoci problemi di sovrappopolazione, che causa disagio in particolare tra i giovani. Le compagnie di olio di palma hanno comprato molta terra e danno lavoro a molti, ma non basta. La paga non è altissima, mentre le famiglie crescono e non c’è lavoro per tutti. In questi anni ho condotto molte catechesi per i giovani e organizzato settimane di ritiro, includendo la partecipazione della polizia locale e dei carcerati nelle prigioni, che sono anch’esse sovrappopolate.
In questi anni oltre ai giovani ho condotto corsi per i catechisti, visto che la nostra Conferenza Episcopale, ha chiesto a tutti i Vescovi di iniziare o continuare obbligatoriamente in tutte le parrocchie il catechismo per i bimbi di sabato e di domenica. Qui, a Banaule, lo facevano un poco di domenica, ma non è abbastanza per aiutare i bimbi a conoscere la fede cattolica. Così adesso i nuovi maestri sono super impegnati per formare i bambini. Certo necessitano di materiale e in Papua non ce n’è molto, ci sarebbe anche la necessità di avere dei locali adatti per i momenti di catechesi ed inoltre costudire il materiale. Io ho già provveduto vari sussidi per l’ insegnamento, ma non è abbastanza. Vedremo se riesco a trovare il tempo per scrivere qualcosa io.
Quindi, come vedete, c’è molto da fare. Facendo tutto questo il mio corpo spesso è debilitato dalla malaria e da altre malattie, che certamente non mi facilitano nel lavoro a cui vorrei mettere mano.
- Se ricordo bene i frati di Aitape ti hanno chiesto di mantenere la responsabilità dell’Economato della Fondazione e anche del Centro Disabili ex lebbrosi.
 
Sì, continuo ad essere l’economo della Fondazione, e siccome il Presidente spesso è in Australia, molte responsabilità ricadono su di me, specialmente in questo momento difficile per la Fondazione. Anche il Centro Antonino è nelle mie mani, anche se a due aerei da qua, visto che i fratelli che dovrebbero starci dietro non lo fanno. Tutte le finanze, il pagamento dei carpentieri e l’altro staff devo pagarli ogni 15 giorni, oltre ad acquistare il materiale per la manutenzione o i progetti e organizzare il trasporto da Wewak ad Aitape. Naturalmente anche presso Centro disabili-ex lebbrosi si creano problemi che qualcuno deve risolvere. Così spesso mi telefonano lamentandosi di questo o di quello. Ma vivendo così lontano da loro non mi è facile.
- Ritorno a tre anni fa quando ti recasti anche in Curia Generale OFM per chiarire con fr. Massimo Fusarelli, nostro Ministro Generale, la reale situazione a livello di personale ed economica della già Custodia declassata a Fondazione alle dirette dipendenze dal Ministro. La visita, oggi possiamo dirlo, ti lasciò l’amaro in bocca in quanto i dati forniti alla Curia non rispecchiavano la realtà e le potenzialità della fraternità locale ormai composta di soli frati nativi. Si può dire che quell’incontro a Roma trasformò la chiusura della Fondazione, già decisa, in un periodo di prova della durata di tre anni e ha riaperto la porta della speranza? Cosa puoi dire di come voi, frati della PNG, avete reagito davanti alle zero prospettive che il Ministro vi aveva lasciato? Potresti anche illustrare gli ambiti dove riconosci delle debolezze e che quindi esigono un impegno per migliorare e quelli invece che già sono su un buon livello di vita francescana?
 
È stato un periodo terribile. I frati hanno sentito il forte giudizio negativo dell’Ordine che buttava all’aria 75 anni di esperienza francescana, non avendo più fiducia in loro, mettendo più enfasi sulle debolezze che le cose positive della nostra entità. Il solo fatto che ci fosse chiesto cosa avrebbero fatto se avessero chiuso la Custodia, li aveva lasciati malissimo, come se fossero stati bocciati, come se tutto quello fatto finora, i loro sacrifici, il loro donarsi totalmente al Signore non avesse portato nessun frutto. Anche io ero molto giù, mi son sentito abbandonato e giudicato, ma mai ho perso la speranza, anzi, più ci buttavano giù più io li tiravo su, facendogli capire quanto siano francescani veri, perché sono poveri, ma poveri veramente, umili, semplici, con un forte senso di appartenenza, gioiosi e benvoluti da tutti, il clero e la gente. Non ho mai visto frati così in altre parti del mondo che ho visitato. Se sono ancora qua, è perché sento che la vita francescana è ancora viva come alle origini e mi fa sentire ancora frate.
Ci dicono che non siamo finanziariamente indipendenti: siamo poveri, lavoriamo con le nostre mani tutti i giorni, non guadagniamo molto perché aiutiamo i poveri non i ricchi. Riceviamo cibo, non soldi. Ripariamo da soli macchine, infrastrutture, quindi non spendiamo soldi, risparmiamo. Non è questo un introito? I soldi che abbiamo in Australia sono nostri, non della Provincia australiana. Usiamo solo gli interessi di un anno da quegli investimenti per mandare il sussidio economico alle comunità. E ci basta. E qui tutto costa, specialmente viaggiare, sempre in aereo, come tutta la gente, per incontrarci spendiamo tantissimo e ci vediamo una volta all’anno, se va bene, tra le fraternità della Fondazione. Non è facile, ma non è colpa nostra.
Ci dicono che non facciamo tanto vita di comunità: a volte non è facile, perché i sacerdoti devono camminare per settimane intere per portare l’Eucarestia a tutti i villaggi, e le comunità a volte sono con tre frati. Ci sono situazioni pastorali che ci portano ad uscire dal convento e le distanze e la mancanza di strade non ci aiutano. Ma non possono dire che non preghiamo insieme, è una bugia. Tutti i frati hanno avuto come esempio frati e sacerdoti che hanno fatto così tutta la vita, sono stati impressionati dal loro zelo pastorale. Anni fa, nel West Sepik Province, i sacerdoti vivevano isolati, anche da soli spesso, per predicare il vangelo. Certamente non facevano tanta vita di comunità, ma la comunità si estendeva alla gente in mezzo a cui vivevano. I frati di qui. invece che essere giudicati sulla loro vita di comunità, dovrebbero essere considerati un esempio per altri frati, di altre nazioni. Il senso di comunità in Papua è molto forte e francescano; noi in occidente non abbiamo più il senso di comunità, non c’è più nemmeno la famiglia. I frati locali crescono con un senso di comunità diverso dal nostro, fortissimo, io ho solo da imparare. È uno stile di vita con cui nascono e l’esperienza francescana lo migliora.
Ci dicono che non abbiamo formatori e leadership: è vero. Quei pochi che avevamo sono morti, uno ha lasciato, altri sono invecchiati. Ma chi ci ha aiutato a formarli? In 75 anni nessun frate della Papua è stato per formazione in Australia. Pochi nelle Filippine. Poi niente formazione permanente, isolati su un’isola lontani da tutti e tutto, senza accesso a corsi, esperienze, istituti. Io in 31 anni sono stato solo 6 mesi nel 2004 in India per un anno sabbatico per fare un po’ di ricerca francescana, poi nulla, niente più formazione o esperienze. Penso non sia colpa loro se adesso non abbiamo formatori e leaders. L’Ordine ci ha aiutato pochissimo in questo, anche perché le nostre conferenze asiatiche parlano molto ma fanno poco. Ho avuto modo di partecipare da Custode a queste riunioni e ne sono testimone.
- Con i vostri vicini francescani, mi riferisco ai frati del West Papua, che sono sulla stessa vostra isola ma provincia dell’Indonesia, avete già qualche collaborazione o iniziative in comune?
 
In passato c’è stato un po’ di collaborazione a livello di formazione iniziale, alcuni frati sono stati là qualche mese e alcuni di loro in Papua. Ma il problema della lingua non permette che tali esperienze siano effettive. Su 70 frati, del West Papua, non più di 10 parlano inglese, tutta la loro formazione e vita di preghiera è in lingua Bahasa, una barriera per qualsiasi collaborazione.
- Mentre con quelli che distano alcune migliaia di miglia di oceano, come i frati Australiani, di Singapore e delle Filippine, ci sono prospettive che vi diano una mano nel prossimo futuro? Ci sono già stati degli approcci al riguardo?
 
Da poco sono arrivati due frati dal Vietnam e uno dal Pakistan, anche se penso che il pakistano torni indietro alla fine di quest’anno per motivi di salute. In agosto vengono dei frati dal West Papua e Singapore per vedere la situazione in cui viviamo; forse hanno intenzione di mandare qualcuno di loro ad aiutarci. Al momento siamo 24 frati, (9 sacerdoti), 20 professi solenni, due avranno la solenne in agosto, due il prossimo anno. Poi abbiamo 6 postulanti. Un Diacono diventerà sacerdote presto.
- Caro Gianni, al mio sguardo tu sarai il frate missionario che accompagnerà i papuani ad assumersi le responsabilità di esprimere il carisma di san Francesco nella loro cultura. Superando non solo le sfide che sono implicite in un processo del genere, ma soprattutto la poca fiducia che noi bianchi, con alcune eccezioni, abbiamo avuto nei riguardi delle popolazioni della Papua Nuova Guinea. Hai sempre suscitato la simpatia e l’entusiasmo dei bambini, ora ti ritrovi, con i capelli che tendono al color argento, a prendere per mano degli uomini adulti affinché in Cristo e nella vita fraterna, pensata da s. Francesco per i “piccoli”, trovino il coraggio di esprimersi nella responsabilità di narrare il vangelo. Ti auguro che la presenza fr. Massimo, nostro Ministro generale, che vi farà visita nel prossimo novembre, sia per Lui l’occasione di riconoscere in voi quelle potenzialità che gli consentano di darvi fiducia.
 
Grazie Guido per tutto quello che fai e per la passione con cui lo fai. Grazie a te e a fr. Pietro, mi sento sempre legato alla nuova Provincia, altrimenti sarei perso e solo. Tutti gli eventi negativi di questi ultimi anni mi hanno portato ad essere un po’ negativo verso i frati nell’Ordine, perché ho ritenuto un’ingiustizia il modo in cui siamo stati giudicati, al di fuori del contesto sociale, culturale ed ecclesiale della Papua. Tornando in Provincia a volte mi sento uno straniero e non è facile per me andare in giro nei conventi. Spero che i prossimi anni ci siano più cose positive a livello di Ordine, così da apprezzare di più tutta la bellezza della nostra vita francescana.
 